i racconti - Nemmonnemmai
in piazza del Santo
Aveva lasciato Mestre costeggiando il Brenta sino a Mira, poi aveva imboccato l’autostrada uscendone al casello di Padova. L’idea di trascorrere una giornata sul burchiello era rientrata ben presto, stanco come s’era sentito di vedersi acqua d’intorno e di doversi difendere senza speranza dall’assalto delle zanzare. Deciso a proseguire per Milano anziché raggiungere Trieste s’era voluto consentire una sosta nella città del Santo. Posteggiata l’auto s’era recato nella piazza ma davanti alla Basilica qualcuno l’aveva avvertito:
“È già chiusa, l’orario per i turisti termina nel pomeriggio”.
Contrariato aveva lanciato uno sguardo alle cupole e ai campanili dall’aspetto orientale e tornando sui passi s’era soffermato ad ammirare il bronzo del Gattamelata. Poi, non volendo ripartire subito, s’era guardato intorno e soltanto allora aveva notato come la grande piazza fosse malinconicamente deserta. Deserti erano anche alcuni tavoli di bar allineati al suo limitare, ad eccezione di uno al quale sostava un uomo che aveva davanti a sé una tazzina di caffè e un bicchiere d’acqua.
Si lasciò andare stancamente sulla seggiola di metallo, a breve distanza da quell’unico altro avventore, e fece per ordinare qualcosa al cameriere che lo raggiungeva uscendo dal locale e che invece lo prevenne:
“È già l’ora di chiusura, signore, tra qualche minuto ritiriamo i tavoli”.
“Ma è ancora giorno pieno, non sono nemmeno le sei!” obiettò indispettito.
“Chiudiamo appunto alle sei, signore”.
“Anche d’estate?!?”.
“La chiusura estiva è fissata appunto alle diciotto”.
“Perché così presto? E da chi è fissata, da voi stessi?”
“Dalle autorità, signore. Noi non possiamo che osservare l’ordinanza comunale”. Il cameriere era cortese ma fermo.
“Ho almeno il tempo per consumare un aperitivo?”.
“Qualche minuto, si. Cosa le porto?”.
Ordinò un analcolico e guardò verso l’uomo che occupava il tavolo poco distante.
Vide che gli sorrideva, come in segno di solidarietà, e lui lo ricambiò facendo un gesto con le mani a dire “Che strane abitudini!”. Ma l’altro si limitò a non variare espressione.
“Di bene in meglio!” pensò. Volse lo sguardo intorno e quando ebbe davanti l’aperitivo prese a sorseggiarlo dopo una rapida occhiata allo scontrino: tremila lire, non male, per un analcolico da consumare in fretta e che altrove non ne sarebbe costato più di mille! L’altro uomo intanto continuava a sorridergli.
Passò poco che se ne sentì infastidito e, ultimata rapidamente la consumazione, depose il denaro sul tavolo per andarsene. Ma un improvviso impulso lo spinse invece ad apostrofare l’uomo:
“Mi scusi, ci conosciamo?”.
Tra loro non c’erano più di due metri eppure l’altro, senza smettere di sorridere, non diede alcuna risposta.
Allora si alzò e gli si accostò ripetendo la domanda:
“Ci conosciamo, per caso?”.
L’altro si scosse sorpreso, aggrottò la fronte e chiese a sua volta:
“Ha detto a me?”.
“E a chi altro? Si direbbe che a Padova, in questo momento, siamo soltanto noi due. A chi altro potrei rivolgermi, se non a lei?”. Per quanto non gli sembrasse cosa ragionevole cominciava ad infuriarsi.
Sul volto dell’uomo apparve un’aria contrita.
“Mi dispiace, non l’ho udita. Cosa mi diceva?”.
Sorpreso ora fu lui. Non convinto, però, replicò:
“Da quando mi son seduto qui lei non ha fatto che tenere gli occhi su di me. Le ho chiesto se mi conosce, per caso”.
“Oh, no! Sono mortificato. La verità è che la sto vedendo soltanto adesso...”.
“Ma allora perché mi fissava? Sembrava che volesse dirmi qualcosa”.
“Le chiedo scusa, non me sono reso conto, assolutamente. Ero assorto”.
“Lei sorrideva come se stesse divertendosi!”.
“Si, in effetti mi stavo divertendo”.
“Di cosa? Del mio disappunto per l’inconsueto orario del bar e per la desolazione di questa piazza?”.
“Ma no, ripeto che non mi sono nemmeno accorto della sua presenza”.
“Cosa la divertiva, allora!”.
“Nulla che si riferisse a lei, glielo assicuro. A questa desolazione, poi, sono abituato, a quest’ora è sempre cosi. Ancora prima di sera la piazza viene privata di interesse turistico allo scopo di preservarla da disdicevoli mondanità”.
“E allora di cosa si divertiva?”.
L’altro si protese verso di lui dicendo in tono conciliante:
“Le debbo veramente delle scuse, lo capisco. Non vorrebbe accomodarsi per qualche momento?”.
“Ma qui stanno chiudendo”.
“Debbono ancora iniziare a rimuovere i tavoli, ed è questione di poco, vorrei spiegarle i motivi del mio buonumore. Servirà a farmi scusare e forse divertirà anche lei. Via, si segga”.
Gli sedette di fronte e quello cominciò a dire:
“Questa è la città del Santo, gode della sua protezione, non c’é dubbio, cosi si spiega come una città di provincia con neanche duecentomila abitanti sia tanto ricca di cultura e di arte. Il Santo la tiene sotto le sue ali. Però, ogni tanto anche lui si diverte con le burle”.
“Con le burle?!?”.
“Stia a sentire. Prima di venire in piazza ero fermo con la mia auto a un distributore di benzina per il rifornimento. Poco distante ho notato un’altra auto con il cofano posteriore aperto, in sosta davanti ad una rivendita di vini. Mentre attendevo che il benzinaio completasse l’operazione un tizio è uscito dalla rivendita reggendo faticosamente una damigiana colma di rosso, l ‘ha sistemata con cura meticolosa nel portabagagli, ha chiuso il cofano con un colpo secco e, messosi al volante, è partito a tutto gas facendo stridere le gomme”.
Fece una pausa mentre la bocca gli si atteggiava nuovamente al sorriso.
“Fatti pochi metri l’auto ha svoltato a sinistra e, sempre a tutta birra, ha imboccato una stradina tagliata da un passaggio a livello aperto. Passando velocemente sui binari la vettura ha avuto un doppio violento sobbalzo e sa quale ne è stato l’effetto?”.
“Me lo dica”.
“Al primo sobbalzo il cofano si è riaperto di colpo e la damigiana è stata catapultata fuori andando a fracassarsi sulla massicciata, al secondo il cofano si è richiuso e la macchina ha proseguito la corsa senza che il conducente desse segno di essersi accorto di nulla”.
“Ma davvero?!?”.
“Come no? lo ho voluto perdere un po’ di tempo per vedere se la macchina tornasse indietro, ma non è stato cosi. Quel tizio proprio non s’é accorto di nulla. Ebbene, da allora mi diverto irresistibilmente a pensare alla sua faccia quando giunto a destinazione, magari chi sa a quale distanza da Padova, avrà aperto il cofano e sgranato gli occhi non vedendo la damigiana. Cerco di immaginarne l’espressione incredula, lo stupore attonito, ma sono certo che la mia fantasia mi suggerisce meno del vero”.
“Divertente, davvero! Lei aveva ben ragione di voler immaginare la scena, me la raffiguro anche io. Mi riconcilia decisamente con questa giornata un po’ storta”.
“Mai quanto quella di quel tizio” rise l’altro, alzandosi perché intanto il cameriere aveva cominciato a trafficare con i tavoli. Mentre s’allontanavano dalla piazza l’uomo aggiunse:
“Provi a non pensare, per un istante, che quel poveretto potrebbe spiegarsi, oggi stesso o domani o forse mai, cosa gli è successo. Non sembra anche a lei, questa, una straordinaria burla del Santo? Sicuramente quel tale sta vivendo il magico momento in cui l’uomo crede ai miracoli. Se poi scoprirà che non esistono si convincerà anche che il nostro Santo è però abilissimo nell’imitarli”.
Concluse: “Dicono che da uomo il Santo fosse taumaturgo. Per civetteria, evidentemente, vuole continuare a sembrarlo anche dal Cielo. In ogni caso è un Santo che protegge e diverte. Cosa può desiderare di più, la nostra città?”.