i racconti - Nemmonnemmai

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La campanella continuava a suonare e la bidella, fattasi sulla sommità della scalinata, sollecitò le ragazze:
Avanti, non perdete tempo, è mai possibile che ogni giorno sia la stessa storia?”.
Il cortile andò svuotandosi lentamente e il cicaleccio si trasferì all’interno dell’edificio attenuandosi soltanto oltre l’uscio delle aule.
Mentre prendevano posto nel proprio banco Graziella insisté con Caterina:
Ma dici davvero che non te ne sei mai accorta?”.
No, mai. E che fa?”.
Niente, non fa niente. Se ne sta li, nero come un corvo, a guardarci da dietro la finestra, sembra proprio un uccello impagliato”.
Ma chi è?”.
Boh! Dev’essere un impiegato dell’Ufficio del Registro, le finestre sono quelle”.
La professoressa entrò in classe e le allieve si zittirono. Caterina, una sedicenne graziosa e vivace, non rinunziò però a mormorare alla compagna:
Oggi non sono per niente preparata, speriamo che non mi chiami”.
E che hai fatto ieri, invece di studiare?” chiese l’altra bisbigliando a sua volta.
Ho letto un romanzo, tutto, l’ho iniziato e l’ho finito”.
Che romanzo?”.
Uomini in bianco, una storia di medici e di infermiere. Se m’avesse sorpresa mio padre!”.
Zitte, voi due laggiù in fondo” intimò la professoressa severamente “Smettetela di parlottare!”.
Le due ragazze tacquero e Caterina, per maggior prudenza, rivolse all’insegnante il docile sorriso del quale si serviva quando voleva evitare complicazioni. Gli insegnanti erano talmente contrariati dalla sua abituale impertinenza che quando ella si mostrava remissiva restavano disarmati. Era anche vero, però, che quella ragazza piena di pepe ispirava a tutti una grande simpatia.
Al termine delle lezioni, sciamando all’aperto, Graziella riprese il discorso:
Ecco, vedi, la finestra è quella. A quest’ora lui non c’è, evidentemente non è orario di lavoro. Ma ogni mattina, quando arriviamo e sino a che non entriamo è li, dietro i vetri, a osservarci tutto il tempo, immobile, senza fare una mossa, gli occhi fissi, sembra che non batta nemmeno le ciglia. Una specie di lugubre manichino, nero com’è”.
Ma guarda qualcuna di noi in particolare?” s’informò Caterina.
E come si fa a capirlo da questa distanza?!? Siamo tante, ci muoviamo in continuazione, da qui si direbbe che guarda nel mucchio. Però, sai com’è, non è escluso che faccia il filo a una di noi, è per questo che ormai tutte ci ridiamo. Domani te lo indico, cosi ti divertirai anche tu, vedrai quanto è vecchio e brutto”.
Vecchio, quanto?”.
Trentacinque, quaranta, che so? Insomma, vecchio, e brutto, questo si vede benissimo. E lugubre”. Si separarono ridendo: “Ciao, a domani”, “A domani, ciao”.
L’indomani Caterina pensava a tutt’altro ma appena entrò nel cortile della scuola scorse Graziella che le indicava l’edificio di fronte:
Eccolo, lo vedi ora? Dietro la finestra”.
Alzò il capo e lo vide. Una figura nera salvo che nella faccia, il busto inclinato in avanti, la fronte quasi appoggiata al vetro. Gli occhi sembravano smisurati ed erano puntati su di loro con tetra fissità. Era vecchio, senza dubbio e, da quel che si poteva vedere, decisamente brutto. Graziella aveva ragione, sembrava un corvo con l’espressione di gufo.
Che uccello di malaugurio!” esclamò. Altre ragazze risero facendo eco a Graziella che scorgendo gli occhi di tutte puntati sulla finestra finse di richiamarle:
Diamoci un comportamento, via! Quell’uomo sta sicuramente spasimando d’amore per qualcuna di noi, non è giusto prenderci gioco di lui. Chissà quanto soffre, e forse proprio per te, sai!” concluse ironicamente rivolgendosi a una biondina con gli occhi slavati. Quella scoppiò in una nuova risata dicendo:
Può darsi che se lo bacio si trasforma nel principe azzurro, ma il coraggio di farlo chi me lo dà?”. “Ma tu, sai baciare?” le chiese qualcuna.
Forse sì forse no, come posso dirlo se prima non provo?”.
La campanella squillò, la bidella uscì dall’androne e le ragazze presero a salire le scale. La biondina si affrettò ad aggiungere: “Non con quello, però, neanche se fossi sicura che poi si trasforma!”.
Quando il cortile rimase deserto l’uomo in nero si staccò dalla finestra e lentamente, con passo strascicato, si portò dietro un tavolo colmo di carte, sedette e preordinò il suo lavoro. Aggiornò il timbro datario, verificò che il tampone fosse sufficientemente inchiostrato, nettò il pennino verificandone la punta e, aperto il primo tiretto, ne trasse il ruolo dei pagamenti. Era il ventisette del mese, giorno di paga per gli statali. L’Ufficio del Registro liquidava gli stipendi al proprio personale e a una trentina di dipendenti della Direzione compartimentale dei Monopoli di Stato.
Don Nicola teneva la cassa. Il contante era custodito nella cassaforte a muro che egli apriva e richiudeva ad ogni prelevamento evitando scrupolosamente di lasciare denaro in giro. Gli incassi venivano curati allo sportello da un’anziana signorina che a fine giornata gliene faceva consegna.
Di lì a poco il personale dell’Ufficio cominciò ad affluire e don Nicola, con garbo e pazienza, pagò a ciascuno il rispettivo stipendio. L’orario di cassa per gli impiegati dei Monopoli era stato fissato da lui stesso alle dieci e, in quell’attesa, egli diede una scorsa al giornale acquistato uscendo da casa. I titoli parlavano del Duce, ovviamente, e di sanzioni, autarchia, pericoli di guerra e speranze di pace, le solite cose. Don Nicola scorreva le notizie con distacco, i presagi minacciosi non lo riguardavano. La sua bronchite cronica e un sospetto di incipiente enfisema lo preservavano da ogni rischio di chiamata alle armi. Del resto già a diciotto anni, alla visita di leva, era stato a un pelo dall’essere riformato per via del torace stretto e dell’andatura anchilotica. La guerra, se ci fosse stata, l’avrebbero fatta gli altri.
Depose il giornale e ripassò mentalmente i discorsetti che si era preparati, quello che avrebbe fatto di li a poco e l’altro che sperava di poter poi rivolgere a sua sorella Giannina.
Giannina era il suo opposto, come se fosse figlia di altri genitori. Piccola, tonda, chiassosa ed energica. Era più anziana di lui, che aveva compiuto trentaquattro anni il mese precedente, e dirigeva la casa con sicurezza imperiosa. Da quando erano rimasti soli si curava di se stessa meno che del fratello, convinta che fuori delle mura domestiche egli avesse ben meritato il rispettoso vocativo di “don” ma che nella vita privata non sapesse assolutamente muoversi senza di lei. In casa don Nicola era il “piccolo”, da assistere pazientemente anche nelle impuntature alle quali non sapeva rinunziare, come quella di continuare a vestire di nero a distanza di anni dalla morte dei genitori.
Questo abito è la testimonianza dell’affetto che ho avuto per loro” soleva ripetere “E inoltre mi si addice, il paese mi rispetta anche per la serietà nel vestire, non solo perché maneggio danaro”.
Si, ma ogni tanto potresti almeno rinnovartelo” replicava Giannina, stanca di usare trementina nei tentativi sempre più vani di smacchiare il tessuto là dove l’unto s’impastava con la polvere dell’aria “Non vedi che ormai è liso e lucido, specie ai gomiti e alle ginocchia?”.
Casca ancora molto bene” rispondeva lui perentorio “Non si buttano soldi per vestiti che non sono necessari, non insistere”.
Lui non lo sapeva, e forse non lo sapeva nemmeno la sorella, ma erano le testardaggini come quella a consolidare in lei la convinzione di essergli indispensabile. Povero Nicola, intelligente, virtuoso ma anche irrimediabilmente goffo all’aspetto, il volto pallido ed equino sotto la pronunziata stempiatura, il sorriso che scopriva oltre ai denti gialli le gengive arrossate, il passo strusciante e quel deprimente abito nero! Giannina lo vedeva come era e ne restava intenerita, specialmente quando lui sembrava voler nascondere nel fondo degli occhi una furberia della quale era invece incapace. La mancanza di amici e di relazioni gli impediva di confrontarsi e l’unica misura di se stesso gli proveniva dal lavoro, che aveva imparato a disimpegnare assai bene, e dal tradizionale riguardo riservato in paese alla sua funzione di tesoriere del Registro.
Alle dieci in punto il primo impiegato dei Monopoli si presentò a ritirare il proprio stipendio e don Nicola contò il danaro, settecentoquarantanove lire, facendo poi firmare la quietanza. Nel giro di mezzora aveva ripetuto l’operazione più volte quando vide finalmente entrare l’uomo che egli attendeva. Si alzò dalla seggiola e gli andò incontro esclamando:
Signor Verzili, che piacere vedervi! Accomodatevi, stavo giust’appunto per farmi portare un caffè, volete prenderlo con me?”.
L’altro, un uomo alto con la mascella quadrata e i baffi severi, celò la sua sorpresa rispondendo cortesemente:
Volentieri, don Nicola, vi ringrazio”.
E di che, di un caffè? Sedetevi, intanto, mentre lo aspettiamo”.
Andò sull’uscio, passò l’ordinazione a qualcuno e, richiusa la porta, si sedette dietro il suo tavolo.
Spero che non vi dispiaccia perdere qualche minuto. Ditemi, come state?”.
“Bene, compatibilmente con i tempi. E voi?”.
Come mi vedete. La solita vita, il solito lavoro. Meno male che, almeno una volta al mese, vedo qualche persona simpatica, come voi, qualche amico. Posso considerarvi amico, vero?”.
Verzili, sempre più sorpreso senza darlo a vedere, si limitò ad affermare:
Certamente”.
Bravo, ci tengo. Sapete, di amici non ne ho molti, il mio lavoro non mi lascia tempo. A casa, poi, conduco vita ritirata, anche mia sorella non è che abbia amicizie. Voi sapete che vivo con mia sorella?”.
No, non lo sapevo”.
Eh sì, da quando abbiamo perso i genitori. Se non avessi avuto lei non so come mi sarei combinato, ma per fortuna Giannina è molto brava, più che sorella è una madre”.
Ne sono contento per voi” fece l’altro.
Vedo che capite. Purtroppo, però, io non le dò una grande compagnia e lei tutto il giorno a sfacchinare, a preoccuparsi per me, senza amicizie, senza nessuna distrazione. Me ne sto facendo una colpa”.
Ma se vostra sorella lo fa volentieri non dovete preoccuparvi. Alcune donne nascono esclusivamente per badare alla casa”.
Sì, ma ogni tanto... E voi, avete famiglia?”.
Bussarono alla porta e quando don Nicola ebbe detto “Avanti” un usciere entrò reggendo un vassoio con i caffè. Lo depose sul tavolo avvertendo: “Fuori ci sono altri in attesa”.
Qualche minuto, pregateli di attendere” disse don Nicola porgendo una tazzina a Verzili. Come l’usciere fu uscito ripeté:
E voi, avete famiglia?”.
Sì, moglie e una figlia”.
Che stupido sono!” esclamò don Nicola ridendo di se stesso con un ghigno che gli scoprì le gengive “Dovevo ricordarmelo d’avervi visto qualche volta qui sotto accompagnare qualcuno fin davanti all’istituto magistrale. Vostra figlia?”.
Sì, frequenta il penultimo anno”.
Che bella cosa la famiglia, i figli!” sospirò don Nicola, e continuò “Darei non so cosa per avere moglie e figli, sarebbero una compagnia anche per mia sorella. Abbiamo la casa grande, sapete?”.
Sì?”.
Certo, cinque grandi stanze che per noi due sono sprecate”.
Ogni cosa ha il pro e il contro” fece l’altro “Mantenere una famiglia costa”.
Oh, per me non sarebbe un pensiero, ho messo dei risparmi da parte. No, penso proprio che non avrei problemi, mentre il pensiero di animare la casa mi piace veramente”.
Sembrò riflettere e poi, abbassando la voce come un cospiratore, disse:
Sentite, per voi ho molta simpatia, vi conosco da tanto tempo anche se non ci vediamo spesso e ho tanto bisogno di scambiare quattro chiacchiere con una persona a modo. Me lo fareste un piacere da amico?”.
L’altro lo fissò senza rispondere ma don Nicola proseguì deciso:
Vorrei offrire un diversivo a mia sorella, che tra l’altro è un’ottima cuoca, vorrei avervi a pranzo, beninteso con la vostra famiglia. Sarei tanto contento che Giannina conoscesse gente come voi, che vedesse quali amici ho. E per me sarebbe un onore del quale vi sarei infinitamente grato. Volete?”.
Verzili, scrutandolo come se stesse vedendolo per la prima volta, rispose:
Vi ringrazio molto, ma vostra sorella non ci conosce e non sarebbe giusto darle questo incomodo. Voi siete molto gentile ma non è il caso che io ne approfitti”.
Ma che dite?!?” esclamò don Nicola con veemenza “Giannina non fa che ripetermi che non porto mai nessuno a casa, che sente tanto la mancanza di amicizie, insomma mi rimprovera la vita che fa. lo vi sto chiedendo un favore, vi ripeto che per me sarebbe un onore e per mia sorella un grande piacere”.
Scorgendo l’indecisione affiorare negli occhi dell’altro allargò le braccia con mossa teatrale aggiungendo:
A meno che, naturalmente, il mio invito non vi disturbi. Forse mi sono permesso troppo”.
Fu la volta di Verzili a protestare:
Non dite così, apprezzo molto la vostra cortesia, me ne sento lusingato”.
E allora accettate, fatemi contento. Vi prego”.
Verzili ebbe ancora un momento di esitazione e poi pronunziò un laconico assenso:
Come volete”.
Ah, vi ringrazio, mi rendete felice. Vi sta bene per sabato sera? Sì? Diciamo verso le venti. Sapete dove abito, vero?”.
Gli liquidò rapidamente lo stipendio e, con la contentezza stampata sul volto, lo accompagnò all’uscio stringendogli calorosamente la mano. “Ora posso dirlo a Giannina” pensava “Sarà una festa anche per lei”.
A casa la sorella, a prima botta, rimase sorpresa non meno di Verzili:
Che, gente a casa, a cena?!? E cosa è successo? Che gente è? Certo che mi fa piacere ma sono curiosa di sapere come ti è venuta quest’idea”.
È per dimostrarti che penso anche a te, che voglio procurarti qualche conoscenza, non sei d’accordo? È gente a posto, lui è impiegato statale, una persona molto seria, ti piacerà. Potremo frequentarci, uscire insieme, insomma vivere in maniera diversa, con qualche distrazione”.
Se è per questo va benissimo” convenne lei prontamente “L’importante, comunque, è che piacciano a te”.
Puoi esserne certa”.
Finirono la serata discutendo lungamente sull’organizzazione della cena e sulla scelta dei cibi. Giannina compilò la lista di quel che le occorreva e assicurò che avrebbe superato se stessa. Era eccitata dalla novità e curiosa di conoscere gli insperati ospiti.

* * *

Venti minuti a mezzanotte” disse Verzili dopo aver dato un’occhiata all’orologio da tasca “Abbiamo abusato anche troppo della vostra ospitalità”.
Don Nicola e la sorella protestarono quasi all’unisono: non dite così, ci avete fatto un regalo, restate ancora un poco, domani è domenica e potete riposare più a lungo. Lui sorrideva scoprendo i denti gialli e lei si agitava e gesticolava con forza piroettando come aveva fatto per tutta la serata nella spola continua tra cucina e stanza da pranzo.
Giannina era estasiata, quei signori Verzili le erano decisamente piaciuti e la giovane Caterina, nasino impertinente e occhi scintillanti, era un amore di ragazza. Avevano lodato la sua cucina e gustato tutto quello che lei aveva preparato stando davanti ai fornelli sin dal primo mattino: timballo di pasta al forno con mozzarella, salame, uova sode e melanzane, arrosto di vitello con contorno di insalata verde, dentice alla griglia con patate lesse, formaggio svizzero e frutta mista. Il signor Verzili non si era fatto pregare per vuotare il bicchiere che don Nicola gli aveva ripetutamente riempito del buon rosso pugliese e anche sul pesce lo aveva preferito al fresco bianco vesuviano. La moglie era astemia ma aveva mangiato con la stessa visibile soddisfazione del marito e anche la figliola, benché poco ciarliera, aveva mostrato di gradire i cibi. Una gran bella famiglia, veramente simpatica! Avevano soltanto osservato, con gentilezza, che Giannina aveva preparato troppa roba, che avrebbe dovuto affaticarsi di meno, e alla fine avevano rifiutato con garbo il bis dei cannoli alla siciliana preparati da lei con l’aiuto di una vecchia ricetta gelosamente conservata. “Siamo proprio pieni” si erano difesi “La cena è stata davvero squisita e imponente”. Giannina aveva gongolato e il fratello si era impettito d’orgoglio.
Verzili all’inizio era sembrato contegnoso ma poi era andato sciogliendosi sino ad alimentare lui stesso la conversazione con crescente socievolezza. A Giannina era piaciuto moltissimo quando rivolgendosi a don Nicola aveva esclamato:
Vostra sorella è una donnina preziosa, dovete temere che ve la portino via”. Lei aveva prontamente replicato:
Non c’è questo pericolo, sto bene come sto e non lascerei questa casa né mio fratello per tutto l’oro del mondo!”.
Don Nicola, invece, non aveva tralasciato occasione per ripetere che la casa era troppo grande per loro, che la sorella era sempre sola e che meritava di far conoscere le sue virtù.
Se io mi sposassi” dichiarò “Giannina continuerebbe ad occuparsi dell’andamento domestico come ha fatto sempre ma in più avrebbe una compagnia e mia moglie non dovrebbe preoccuparsi di nulla. Alla casa vuol pensare soltanto lei, figuratevi! Una volta avevo pensato di prendere una domestica ma non gliene ho nemmeno parlato per non farla infuriare”.
La sorella, che con passo saltellante stava avviandosi verso la cucina reggendo le stoviglie ritirate dalla tavola, si volse a guardarlo sorpresa da sopra la spalla ma lui non le badò, continuando:
Giannina ha sempre sentito la mancanza di un’altra presenza femminile, in casa. Una cognata sarebbe per lei come una sorella, penserebbe a lei come pensa a me. Non è vero?” chiese a lei che tornava verso di loro.
Certamente” rispose l’altra “Purché fossi contento tu! A me basterebbe saperti finalmente sistemato, una moglie ti ci vuole, lo capisco. Per me non cambierebbe niente”.
Ma avresti una compagnia, sarebbe tutto diverso, invece” insisté lui vivacemente.
Sì, certo, sotto questo riguardo sarebbe diverso” convenne Giannina.
Vedete” sorrise soddisfatto don Nicola “Un’altra donna che entrasse in questa casa potrebbe benissimo non sapere nulla di cucina né di qualsiasi faccenda domestica, sarebbe libera da ogni preoccupazione”.
Vi preparo il caffè” lo interruppe la sorella, chiedendo poi se tutti lo gradissero. Verzili annui, a differenza della moglie che “altrimenti non avrebbe dormito”. Anche Caterina rifiutò: “Non mi piace” disse schiettamente.
Don Nicola attese che la sorella avesse messo la caffettiera sul fuoco e propose a Verzili:
Volete vedere la casa mentre le donne parlano un poco fra loro? Venite, vedrete quanto è grande e comoda”.
L’altro aderì per cortesia. Aveva mangiato molto e ora accusava la pesantezza, tuttavia si levò dalla seggiola e segui don Nicola che strascicava i piedi verso le altre stanze.
Giannina prese a sparecchiare rifiutando energicamente qualsiasi aiuto. Caterina la guardava incuriosita ridacchiando fra sé: quella piccola donna bruna, coi capelli palesemente tinti, sembrava una trottola e parlava instancabilmente:
Signora mia, la casa è grande ma a me piace tenerla sempre in ordine. Ogni mattina rassetto e spolvero tutto, potete vedere che in giro non c’é un filo di polvere. Mia madre mi ha abituata cosi, non so concepire diversamente. Ma non mi costa molta fatica perché anche mio fratello è molto ordinato, nella sua camera non c’é mai niente fuori posto. Lui stesso, al mattino, tira su le coperte del letto e lo fa cosi bene che si direbbe che non vi abbia nemmeno dormito. L’aiuto di una domestica?!? Non mi è mai stato necessario, mi complicherebbe le cose. No, sto bene cosi. Certo, una compagnia simpatica in casa mi farebbe piacere, io parlo volentieri come sto facendo in questo momento con voi. E poi, è vero, mio fratello dovrebbe sposarsi, l’uomo ha bisogno di una moglie”.
Ma voi non avete mai pensato a sposarvi?” la interruppe garbatamente l’altra.
Sposarmi io?!?” Giannina rise come se avesse udito un’amenità “Un altro uomo per casa?!? No davvero, non ci penso assolutamente. No, signora mia, del matrimonio io non ho mai sentito bisogno, ve l’ho detto, sto bene come sto. E poi, con chi? Quand’ero più giovane, certo, ho conosciuto qualcuno malgrado abbia sempre fatto vita molto ritirata, ma vi assicuro che non ci ho mai messo pensiero. I miei genitori, del resto, me lo dicevano sempre: stai attenta, gli uomini sono opportunisti, guardati da quelli che appenderebbero volentieri il cappello! No, proprio, la casa è mia e me la voglio godere in pace, un uomo a cui pensare ce l’ho e vi assicuro che non gli faccio mancare niente. Mio fratello, d’altra parte, lo merita pienamente. È un gran lavoratore, una persona per bene, stimato da tutti”.
S’alzò e, dopo aver chiesto permesso, si recò in cucina da dove proveniva l’aroma del caffè in ebollizione. Madre e figlia si guardarono e Caterina mormorò: “Quando ce ne andiamo? Papà che sta facendo, di là?”.
Porta pazienza, deve ancora prendere il caffè”.
Poteva rifiutarlo, no? Ma insomma, che ci siamo venuti a fare qui?”.
Tuo padre dice che don Nicola l’ha quasi costretto con la sua gentilezza. Ma poi, mi sembra che effettivamente ci hanno trattati molto bene. È gente che cerca di fare delle amicizie”.
Con noi?!?”.
E che c’é di male?”.
Niente, soltanto che mi immalinconisce il solo vederli. Se almeno non mi aveste proibito di parlare!”.
E non lo fare!” intimò la madre “Ci mancherebbe altro, con la tua lingua, tu apri bocca solo per dire impertinenze”.
Caterina sbuffò: “Sapessi quante me ne sono venute in mente, e che fatica ho fatto a trattenermi!”.
Lo immagino”.
Giannina tornava annunciando: “Ho servito il caffè nella camera di Nicola, lui sta mostrando il suo guardaroba. Se voi vedeste quanta roba ha! Cinque o sei vestiti quasi nuovi, si può dire. Non li indossa da tempo perché ora veste solo di nero, ma gli vanno ancora perfettamente. E camicie, non ricordo quante, scarpe, due cappotti, insomma non vi dico, armadio e comò sono pieni. Non si è fatto mancare mai niente, anche se usa pochissimo quello che ha. E io gli tengo tutto nel massimo ordine”.
Continuò a parlare senza sosta mentre Caterina andava disfacendosi e la madre tentava sempre più inutilmente di nascondere gli sbadigli. Infine i due uomini ricomparvero, don Nicola con una luce astuta negli occhi e Verzili che con un sorriso caricato, curiosamente in contrasto con la fronte corrugata, diceva alla moglie:
Il nostro ospite ha una grande simpatia per Caterina e vuol sapere se abbiamo niente in contrario alla sua idea di sposarla”.
Nella stanza si fece il silenzio assoluto. Don Nicola aveva abbassato lo sguardo e non lo distoglieva dai propri lunghi piedi, Verzili continuava a sorridere nervosamente e le tre donne avevano la bocca spalancata come se l’aria fosse improvvisamente loro mancata. Quell’immobilità senza suoni ricordò a Caterina l’opprimente fissità del museo delle cere.

* * *

Graziella rideva torcendosi tutta e tenendosi comicamente i fianchi con le mani.
Cercò di calmarsi per smozzicare una serie di esclamazioni:
Ti vuole sposare?!?... Quello là... quel vecchio uccellaccio?!?... Ma che mi dici?... E tu, e i tuoi genitori?... cosa gli avete risposto?”.
Avresti dovuto vedere mio padre. Alla fine mi ha fatto pena, non avrei mai creduto che qualcosa potesse imbarazzarlo e invece... Si sforzava di restare calmo, anche di sorridere, ma io gli vedevo le mascelle contratte come quando è preso dalla furia. Mi ha fatto ricordare di una volta che, ancora bambina, ne avevo combinato una più grossa del solito e lui mi aveva cercata in tutta la casa per punirmi. Mi ero nascosta sotto il letto e infine lui lo intuì ma, forse già rabbonito, evitò di chinarsi quanto gli era necessario per scorgermi. Quando molto più tardi gli apparvi davanti mi chiese severamente dove mi fossi nascosta ma io capii che dentro rideva. Solo che quella volta fingeva di essere arrabbiato mentre l’altra sera ha tentato di nasconderlo”.
Sì, ma insomma, cosa gli ha risposto?” insisté Graziella.
Lui? Niente o quasi, ha lasciato parlare mia madre e la sorella dell’uccellaccio. Si è limitato a salutarlo molto freddamente nel momento di andar via, quando ormai era tutto finito”.
Finito come?”.
Ma sai che sei strana?” la schernì Caterina “Come pensi che potesse finire? Ti dico solo che se quel lugubre vecchio, don Nicola, non fosse tanto disgustoso alla fine mi avrebbe fatto pena anche lui. È stato letteralmente aggredito dalla sorella”.
Contraria al suo matrimonio?”.
No, non contraria al matrimonio ma al fatto che lui pensasse di sposare una ragazzina, proprio così, una ragazzina”.
Non le eri riuscita simpatica?”.
Anzi! Mi ha ricoperta di complimenti, ragione di più, secondo lei, perché il fratello riflettesse sull’assurdità della sua scelta. Le gridava in faccia: ma ti rendi conto che potrebbe essere tua figlia, che non sei l’uomo per lei? Gli ha urlato che era un pazzo, che non avrebbe mai dovuto permettersi, che stava facendo una figura ridicola, non degna di lui”.
E l’uccellaccio che rispondeva?”.
Per tutto il tempo ha continuato a guardarsi le scarpe, senza mai smettere di sorridere, come aspettando che la sorella finisse di sfogarsi. Ma quella non ha smesso più, ogni tanto osservava mia madre e vedendola annuire col capo riprendeva lena. L’espressione di mio padre parlava da sola, era scuro in volto e stringeva le labbra”.
Tu che hai detto?”.
Io?!? Non ho fiatato assolutamente, neanche quando don Nicola ha sollevato furtivamente gli occhi su di me come a chiedermi cosa ne pensassi. Te l’immagini?”.
Insomma, l’avete lasciato di sale?”.
Mica tanto, ci crederesti? Nell’accompagnarci all’uscio si è tenuto dietro alla sorella ma non ha mai smesso di sorridere come convinto che, ormai fatto il passo, dovesse soltanto armarsi di pazienza. E mi guardava quasi a voler convincere anche me. Ti dico! Io mi stringevo a mia madre e lui, oscillando la testa al di sopra delle spalle degli altri, mi cercava con gli occhi continuando a sorridere”.
Però, senti, tuo padre avrebbe potuto dirgli subito che non era cosa. E poi, perché si è incavolato? La figura ridicola l’ha fatta quell’altro, che comunque non vi ha mancato di rispetto, anzi! Tuo padre gli poteva parlare chiaramente senza perdere la calma”.
Caterina fece una comica smorfia:
Non ti ho ancora detto tutto. Mio padre si è spiegato quando siamo arrivati a casa, per tutta la strada è rimasto arcigno e silenzioso. Poi si è sfogato, ha detto che aveva preferito star zitto nel timore di non sapersi controllare, di fare il villano in casa d’altri, dove aveva mangiato. Ha raccontato che don Nicola, nella sua camera, aveva aperto cassetti ed armadio per mostrargli la grande quantità di biancheria e di abiti che possiede e che disseminate qua e là erano spuntate, come del tutto casualmente, tre o quattro banconote da mille lire, e ogni volta don Nicola l’aveva guardato con finta sorpresa e con l’aria di dire: che volete, ho tanti soldi che mi capita di riporli nei posti più impensati e di dimenticarmene. Sembrava, secondo mio padre, l’avventore smanioso di far vedere che è in grado di pagare”.
Graziella proruppe nella sua squillante risata:
Ma allora è proprio fesso!”.
Perché, ne avevi dubitato? Non ne aveva già tutta l’aria appostato goffamente dietro la finestra del suo ufficio?”.
Beh, quello poteva essere l’atteggiamento di uno spasimante. Ma tu, hai avuto l’impressione che sia proprio innamorato?”.
Lui ha voluto far credere che pensa alla sistemazione ma la maniera sdolcinata con la quale mi guardava ha lasciato intendere qualcosa. Probabilmente si vergogna, forse teme il giudizio della sorella, non so. Comunque sino all’ultimo ha fatto capire di non darsi per vinto malgrado l’espressione dei miei genitori e le grida della sorella che, esasperata, non si è controllata più”.
Che ha fatto?”.
Ad un certo punto, visto che lui continuava a scuotere la testa come a dire che non si rassegnava, gli ha gridato con quanto fiato aveva in gola: ma vieni qui, guardati allo specchio e poi confrontati con questa splendida figliola... Non li hai gli occhi, non lo vedi che sei vecchio per lei, che quello che vuoi non sta né in cielo né in terra?”.
E lui?”.
Ha continuato a scuotere la testa e ha biascicato qualcosa come a dire che col tempo, chissà. Allora la sorella ha avuto una crisi isterica, gli si è fatta sotto il naso agitando le mani quasi a ghermirgli la faccia e urlando: nemmonnemmai, nemmonnemmai, nemmonnemmai, levatelo dalla mente! E da quel momento, sino a quando ce ne siamo andati, ha ripetuto un’infinità di volte quel grido stridulo e incomprensibile: nemmonnemmai, nemmonnemmai, nemmonnemmai!
Graziella, perplessa, chiese:
Ma che lingua è, cosa voleva dire?”.
Non lo capisci?” rise sonoramente Caterina “Allora non sono soltanto io! A casa l’ho chiesto a mia madre ed è stato il momento in cui le è tornato il buonumore. Mi ha detto che sì, la prima volta aveva stentato anche lei a capirne il significato ma poi s’era resa conto che non si trattava di un’unica parola e che nemmonnemmai stava per un lapidario né mo né mai, né ora né mai”. Rise ancora e concluse: “Sembrava una misteriosa formula scaramantica, una specie d’esorcismo, ed era invece un patetico epitaffio!”.

Dedicato a Caterina Marino

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