i racconti - Nemmonnemmai
il chewingum
C’era stata una prima volta ma il suo ricordo non riusciva a ricostruirla. Sapeva soltanto con certezza che un giorno s’era reso conto che quella storia durava da un pezzo e gli aveva scavato dentro un sentimento nuovo e sgradevole.
Era un mite, Semprevivo, predestinato dalla nascita ad accettare di buon animo ogni contrarietà. I primi ad accorgersene erano stati i genitori, quando lui non aveva ancora quattro anni ed aveva frignato per avere un trenino di latta. Essi si erano rifiutati di acquistarglielo e dopo qualche tempo il padre aveva chiesto alla moglie:
- Pensa ancora al trenino?
- Sembra che non l’abbia mai veramente desiderato. Da quando gli ho detto che ci doveva rinunziare se lo è tolto dalla testa.
Lì per lì se n’erano compiaciuti, poi avevano collegato altri episodi, rievocato i suoi comportamenti e avevano concluso:
- Si rassegna subito, non è ostinato. Non ci darà problemi, ha un carattere docile.
Col tempo, però, avevano capito che quel nome, Semprevivo, impostogli allo stato civile un po’ per dispetto al parroco e un po’ per auspicio all’unico figlio, era stato un errore e si erano pentiti di averlo condannato per sempre all’ironia di se stesso.
- Semprevivo?!? Il giorno in cui si sveglierà sarà un giorno da ricordare!
Ma quel giorno non era mai venuto. Adolescente, giovanetto e poi uomo Semprevivo era rimasto lo stesso: ogni delusione, ogni avversione e anche ogni dolore erano per lui eventi ineluttabili della vita ai quali si adattava senza emozione.
- È un bene - si consolò il padre - si è sviluppato poco, è rimasto minuto, ha un aspetto gracile. La remissività lo aiuterà a convivere con il suo corpo.
A vent’anni era già quasi senza capelli, a venticinque il ventre aveva cominciato ad arrotondarglisi e a trenta i difetti della vista l’avevano costretto ad inforcare lenti spesse come fondo di bicchieri.
Quand’era rimasto solo aveva continuato a gestire senza alcun aiuto la piccola merceria lasciatagli dai genitori, tirando avanti quel tanto che era necessario per mangiare, vestire e pagare le tasse. Una volta aveva tentato di procurarsi una moglie ottenendo un rifiuto infastidito e senza appello da una scialba ragazza.
A quarant’anni ne dimostrava oltre cinquanta. Apriva la bottega sempre puntualmente, serviva la clientela quasi in silenzio, si cucinava i pasti e teneva in ordine la casa. Consumava le serate ascoltando la radio e finendo spesso con l’addormentarsi sulla poltroncina ch’era stata del padre.
Un mattino, mentre percorreva lentamente. come al solito i cinquanta metri di marciapiede tra la casa e il negozio, avvertì più chiaramente la sensazione che non gli era nuova. Quando sollevava da terra uno dei piedi - era il destro, in quel momento - lo sentiva scollarsi dal suolo e a ogni passo udiva distintamente il suono: ciac, pausa, ciac, pausa, ciac.
Aprì la bottega con i gesti consueti e quindi, quasi nascosto dietro il banco in attesa degli avventori, si sfilò la scarpa dal piede per esaminarne la suola. Parte del tacco era ricoperta da una sostanza gommosa, biancastra, che emanava un acuto sentore di menta.
Mise mano alle forbici e, lavorando di sbieco per via del tallone sollevato da terra, con una delle lame prese a raschiare il chewingum. Il primo strato venne via filando e torcendosi come se fosse animato e Semprevivo si trovò in bocca l’odore della menta quasi che la stesse masticando. Lo stomaco gli trasmise un’istantanea repulsione ed egli fece uno sforzo per continuare nell’opera, nettando di tanto in tanto le forbici con una pezzuola.
Smise, all’ingresso d’una cliente, quando della sostanza non restavano che poche tracce. Calzò la scarpa, servì la donna e da quel momento pensò ad altro. Tuttavia, mentre si muoveva sull’impiantito, continuava a udire ciac, pausa, ciac, pausa, ciac. Quando si fece l’ora chiuse bottega e a casa, sotto il rubinetto, strofinò il tacco sino a mondarlo completamente.
L’indomani mattina, appena uscito dal portoncino, capì che gli stava accadendo di nuovo. Cercò di liberarsi della gomma strusciando la suola a terra e sul bordo del marciapiede, con l’unico risultato di rimestare l’impasto. In negozio ripeté l’operazione del giorno prima e questa volta, oltre allo sdegno dello stomaco, avvertì una punta di insofferenza.
La cosa si ripeté ancora e Semprevivo, all’aperto, prese l’abitudine di scrutare attentamente il suolo davanti a sé prima di muovere il passo. A causa della vista non gli riuscì sempre, però, di farla franca.
Si rassegnò all’idea di quella strana guerra tra lui e il chewingum e si fece ancora più attento, ma non bastò. Sembrava che la gomma lo cercasse e che nel trovarlo fosse molto più abile di lui nel tentare di evitarla.
Un giorno, mentre era intento a stropicciare la suola sul selciato, udì un fischiettare sommesso dall’altro lato della via e sollevò il capo. Sulla soglia della panetteria di fronte stazionava il garzone, un giovanetto dal volto pieno di efelidi e dal comportamento solitamente sgarbato. Non ne fu sicuro, ma gli parve che lo guardasse con un sorriso di scherno.
Da allora fu certo che il ragazzo era immancabilmente lì, a godersi la scena, tutte le volte che egli aveva il suo daffare con il chewingum. Malgrado Semprevivo non fosse sospettoso, il dubbio s’insinuò nel suo cervello.
Una mattina, quando mancava poco all’ora di uscire da casa, si appostò dietro le persiane e si mise in osservazione. Non tardò tempo che scorse il garzone: attraversava la strada verso il portoncino sottostante e, sì, sembrava proprio che stesse masticando. Quando fu sul marciapiede portò due dita alla bocca e ne estrasse qualcosa che gettò a terra con l’aria di scegliere un punto preciso. Dopo di che tornò zufolando verso la panetteria.
Semprevivo meditò a lungo. A sera passò. dal fornaio e gli raccontò ogni cosa.
L’altro lo guardò come se lui volesse scherzare, poi tentò di farsi serio e promise che avrebbe provveduto.
Il chewingum sparì e dopo qualche tempo anche il ragazzo con le efelidi non si vide più.
Semprevivo aveva però scoperto l’irritazione e il rancore. Poi sentì nascergli dentro qualcos’altro.
Acquistò una gomma americana, la masticò superando il fastidio provocato dal suo aroma dolciastro e, uscendo da casa, lasciò cadere il grumo al suolo in prossimità della sua bottega. Aperto il negozio si posizionò sulla soglia e stette in attesa, protendendo l’orecchio via via che i passanti si facevano più numerosi. Quando infine gli giunse il suono inconfondibile - ciac, pausa, ciac, pausa, ciac – rientrò in bottega e si accinse a trascorrere la giornata. Non prima di sera avrebbe potuto acquistare altro chewingum, un’intera confezione.