il Libro

parte prima - capitolo undicesimo

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Federico aveva con la vita il rapporto tipico della sua età: non condivideva nessuna o quasi delle regole di comportamento individuale e sociale che la governavano. Il dissenso era inguaribile perché la precocità, sollecitando l'anticipazione dei propri effetti, aveva abbreviato i tempi del suo adattamento ponendolo a confronto con realtà spesso incomprensibili e ostili che egli contestava rabbiosamente. Aveva voluto seppellire l'infanzia per evitarne la nostalgia e invece l'aveva preservata dallo spontaneo processo di dissolvenza che s'accompagna alla crescita. La vita, per Federico, era un'avventura dolcissima guastata dagli uomini.
Le fantasie sopravvissute nel suo animo erano andate radicandosi in ideali ed egli, convinto che a sbagliare fossero gli altri, reagiva con intransigenza a tutto quello che non gli piaceva rifiutando comprensione e tolleranza. Benché cercasse il rapporto con il prossimo non riusciva a sopportarne i comportamenti estranei alla sua coscienza e considerava imperdonabili le debolezze, i vizi, l'ignoranza e gli errori.
Non reprimeva le insofferenze e le palesava con istintiva ironia che complicava la sua vita di relazione e rendeva difficili le amicizie. La disponibilità affettiva che era in lui si scontrava spesso con i risentimenti che finiva col provocare negli altri.
Sensibile alla propaganda di regime era andato convincendosi dell'esigenza di rinnovamento della società che sempre più gli si rivelava retriva e convenzionale, prigioniera di desolanti luoghi comuni, dominata dalla gretta arroganza del censo e da arcaiche aristocrazie di casta. Una società che mortificava i valori intellettuali e di sentimento dei quali ciascuno avrebbe dovuto invece essere prodigo per concorrere al progresso e conquistare nella vita la propria giusta collocazione.
Lungimiranza, ardimento e onestà gli apparivano le virtù necessarie all'uomo per uscire dalla decadenza alla quale l'arrivismo edonistico lo condannava per uno sviluppo storico destinato a ripetersi.
Aveva già superato, Federico, il momento degli interrogativi esistenziali: perché si nasce, se c'è Dio, dove è diretta l'umanità. Non era convinto delle risposte che per il momento era riuscito a darsi ma aveva anche concluso che non fosse tanto importante avere risposte certe, comunque improbabili, quanto allontanarsi sempre più decisamente dall'originario pitecantropo. S'era convinto che dovesse essere la stessa umanità a scegliere, nel suo libero arbitrio, cosa essere e cosa fare di se stessa, se proseguire il cammino della propria elevazione o massimizzare il godimento dei piaceri. Era questione di volontà, si diceva, ogni uomo potrebbe tendere al suo miglioramento se solo lo volesse con tenacia, giorno per giorno. Si commuoveva agli eroismi ma apprezzava molto più il coraggio che accompagna tutta una vita e doma le sofferenze,
Voleva amare e sentirsi amato. Capiva, e se ne rallegrava, che l'amore che aveva dentro era un residuo della fanciullezza e si rendeva anche conto di desiderare l'amore a rifugio delle proprie insicurezze.
(...)