i racconti - Nemmonnemmai
Giorgia
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introduzione, prefazione, causa d'onore, in piazza del Santo, quando non va, il Maestro, il chewingum, il treno, Ares contro Eros, il Potere, la fila, nemmonnemmai, il dubbio.
“È stato lui?” chiese il marito.
“Insiste a parlare di suicidio” rispose Giorgia Cantoni, brillante penalista “Afferma che la donna si è uccisa in sua presenza conficcandosi il bisturi nel cuore”.
“Tu gli credi?”.
“Non so, non mi sono fatta ancora un’idea precisa”. Giorgia scosse il capo agitando gli splendidi capelli ramati che le scendevano sulle spalle. “Gli elementi a suo favore, oltre alla fama di serio professionista, sono la mancanza delle sue impronte sul bisturi e la circostanza che sia stato lui stesso a chiamare subito la polizia. Aggiungerei l’espressione di sincerità, se non fosse abituale anche nei colpevoli. Ma in lui appare assolutamente autentica. Se non lo è, recita benissimo”.
Era molto perplessa. La morte di quella bella signora trentenne, avvenuta nello studio di uno dei più conosciuti ginecologhi della città, aveva riempito le cronache giornalistiche: “Delitto o suicidio? Avvenente signora muore trafitta da un bisturi nello studio del proprio ginecologo. Il professionista dichiara che si è uccisa, ma gli inquirenti indagano su strani aspetti della vicenda”. E poi “Il giallo del bisturi: il ginecologo arrestato per la morte della cliente. La polizia ritiene che gli indizi escludano il suicidio”.
Malgrado l’iniziale riserbo degli investigatori era ben presto trapelato il dato più saliente emerso dall’esame necroscopico: la vagina del cadavere era colma di sperma.
L’imputazione che aveva determinato l’arresto era di omicidio pluriaggravato.
“Lui ammette di averla violentata?” chiese il marito di Giorgia.
“Niente affatto, parla di amplesso consensuale. Sostiene che la donna gli si è offerta durante la visita e, al termine, ha afferrato il bisturi che era sul vicino carrello e se l’è piantato nel petto spirando all’istante”.
“E come lo spiega?”.
“Non lo spiega, dice che lui stesso non se ne fa una ragione”.
“Il rapporto carnale, secondo il perito, è avvenuto prima o dopo il decesso?”.
“Prima, su questo non c’è dubbio”.
“Allora l’ha uccisa spaventato dalla sua reazione!”.
“È appunto la tesi dell’accusa”.
“Direi che è andata proprio così”.
“Il giudice ne è convinto. Ma esistono alcuni elementi che non collimano e io non so spiegarmeli”.
“Quali sono?”.
Giorgia si versò del brandy, ne versò anche a lui e porgendogli il calice gli fece cenno di sedere accanto a lei che intanto si sistemava sul divano ripiegando le belle gambe sotto di sé.
“Innanzi tutto le impronte sul bisturi. Ci sono quelle della donna, ma non anche quelle di lui”.
“Forse aveva il guanto o ha cancellato le proprie impronte prima di imprimere egli stesso quelle di lei”.
“Sì, potrebbe essere cosi. Ma il bisturi è rimasto conficcato sotto la mammella della donna e il perito settore esclude che sia stato anche soltanto sfiorato dopo averle trapassato il cuore”.
“Ma una leggera pressione, via...”.
“Infatti, ma le impronte della vittima sono chiarissime e nella posizione esatta in cui debbono essere. Sull’indice della donna, inoltre, è stata riscontrata una piccola lesione come se si fosse ferita nell’impugnare lo strumento. Ma non basta”.
“Che altro?”.
“Intanto lui appare un tipo freddo, padrone di se stesso, uno di quegli uomini che sanno quello che fanno, non uno stupratore che si fa sorprendere dalla reazione della vittima. E infine, esiste un ultimo più importante particolare”.
“Cioè?”.
“I genitali della donna presentavano tracce di congestione attribuibili, a quanto sembra, a intenso turgore erotico. Lei ha partecipato all’amplesso, con molta passione”.
Il marito sorseggiò il brandy. Poi chiese:
“Nel sangue sono state trovate sostanze afrodisiache?”.
“No, niente di afrodisiaco, soltanto segni non imponenti di acido malonico. Lui dice di averle somministrato una compressa di veronal come usa fare con le pazienti emotive turbate dall’idea dell’ispezione vaginale”.
“È una pratica normale in ginecologia?”.
“Forse sì, forse no. Ma non è questo il punto, per drogarla sarebbe stato necessario ben altro. Non c’è prova che egli abbia maneggiato il bisturi, l’accoppiamento carnale c’è stato e la donna è morta, questi sono i fatti. Lui dice di non averla uccisa, potrebbe essere credibile e quindi resta un interrogativo: se è stata lei a suicidarsi, perché l’ha fatto? Lui non ha una risposta”.
“Lei era una donna serena, sana, aveva qualche problema?”.
“Una donna felice, si direbbe. Bella, innamorata del marito, madre di due splendidi piccoli. Nessun problema, era andata dal ginecologo soltanto per una visita di controllo, com’è ormai di moda”.
“Innamorata del marito? E allora come si spiega che gli si sia data volontariamente come lui sostiene?”.
Giorgia ammiccò.
“Oh, beh! Queste sono cose che voi uomini vi ostinate a non capire, non rientrano nella vostra logica maschilista. lo non affermo che lui dica la verità, ma nemmeno lo escludo. È molto attraente, ha uno sguardo penetrante, insomma è in grado di esercitare un sicuro fascino. No, non escludo che le cose possano essere andate come dice, soltanto che per esserne convinta ho bisogno che lui mi dica di più”.
“Quando lo rivedrai?”.
“Domani. E domani deciderò se accettare di difenderlo”.
L’indomani, quando nel parlatorio del carcere ebbe l’uomo davanti a sé, lo affrontò senza preamboli:
“Per principio io difendo soltanto gli innocenti. Probabilmente è per questo che ho pochi clienti, ma è anche per questo che finora non ho perso una causa. Per assumere il suo patrocinio debbo essere certa della sua innocenza, debbo conoscere tutta la verità”.
Lui sostenne il suo sguardo.
“lo non l’ho uccisa, e le ho già detto la verità”.
“La sua verità non spiega nulla, né a lei né a me. E la sua risposta non mi soddisfa. Lei conferma di non averla uccisa, sta bene. Ma allora deve aiutarmi a capire perché si è suicidata, è questa la verità della quale ho bisogno se non voglio difendere una causa già persa”.
L’uomo la fissò per alcuni istanti in silenzio prima di chiedere:
“Lei mi difenderebbe anche se io ipotizzassi di non essere oggettivamente estraneo alla follia di quella donna?”.
Giorgia fu pronta a rispondere:
“Ecco che cominciamo a capirci! Ammesso che si tratti di suicidio lei non può chiamarsi fuori, deve spiegare cosa è avvenuto prima e dopo il congiungimento carnale, deve convincere me e poi altri di non avere usato alcuna violenza su persona in grado di intendere e di volere”.
“Non ho esercitato alcuna violenza e la signora era nel pieno possesso delle sue facoltà”.
“E allora cosa l’ha indotta ad uccidersi senza che lei ne sia colpevole ma nemmeno estraneo?”
esortò pazientemente Giorgia.
“Credo, badi bene, credo che sia stato il pentimento”.
“Il pentimento?!? E di che?”.
“Di aver voluto fare l’amore e di aver goduto come forse mai prima d’allora”.
“È stata la donna a volere?!? E lei?”.
“Ecco il punto. Mi riconosco unicamente la responsabilità d’essere stato il suo partner”.
Giorgia s’aggiustò sulla seggiola e lo esortò di nuovo: “Continui. Dica tutto, ogni particolare”.
“Sta bene, ma perché lei mi capisca debbo fare una premessa”. Vagò brevemente con lo sguardo tutt’intorno e poi proseguì:
“Esercito la mia professione da quindici anni, ho iniziato appena laureato. Sono numerose le pazienti con le quali ho avuto rapporto carnale”.
“Anche usando loro violenza?”.
“Mai! È sempre avvenuto spontaneamente, nessuna ha mai manifestato di dolersene, né prima né dopo”.
“Sta dicendo che non ha mai dovuto superare alcuna resistenza, che ognuna di loro non attendeva altro?”.
“Non voglio dire questo. Sì, alcune erano forse già predisposte, in ogni caso hanno manifestato propensione nel corso della visita”. Giorgia dovette superare un’ombra di fastidio prima di chiedere:
“Lei le stimolava ad arte? Le tentava con la parola?”.
Lui represse un sorriso: “Oh no, mai detta una parola, da parte mia! E la stimolazione era già nei fatti, questo lo comprende, non poteva sfuggirmi l’intensità dei suoi effetti. Ripeto, sempre tutto spontaneamente”.
Il fastidio si fece più acuto e trapelò nella voce di Giorgia:
“Insomma, mi dica come avveniva. Perché, se non capisco male, lei vuol sostenere che anche stavolta è accaduto alla stessa maniera”.
“Esatto, proprio così”.
“E allora?”.
“Diciamo che anche stavolta mi si è presentato un quadro già noto”.
“Cioè?”.
“I sintomi inequivocabili della disponibilità”.
“Attento, averne approfittato sarebbe già colpa!”
“No, mi ascolti, sto parlando della disponibilità verso se stessa, quella che è già desiderio via via più impetuoso che non di rado, in altre circostanze, viene placato con l’autoappagamento”.
“Che differenza fa? Lei poteva non profittarne. E poi, quello che dice delinea uno stato morboso e non risulta che la signora fosse ninfomane”.
Lui ebbe un gesto d’insofferenza.
“Ma rifletta, faccia mente locale, consideri che nella visita ginecologica la paziente viene a trovarsi in una situazione particolare, psicologica ancor prima che fisica”.
“Questo lo capisco, ma insisto a dirle che approfittare di una situazione del genere configura già un rapporto di causa ed effetto del quale lei sarebbe colpevole”.
“Ma no, che dice! Lei mi difende dall’accusa di omicidio, comunque, e io di quella morte non sono responsabile”.
“Non ne sono molto sicura” lo rintuzzò Giorgia “Per quanto mi riguarda, se debbo credere al suicidio debbo anche escludere che lei abbia potuto in qualche modo provocarlo”.
“Può escluderlo, se riconosce che io mi sono soltanto prestato alla consumazione dell’atto sessuale e non rispondo del pentimento della paziente. lo non ho mai costretto nessuna, neanche questa volta. Gli episodi di sesso si sono verificati soltanto quando le pazienti mi hanno invitato esplicitamente”.
“Come?”.
“Oh, via! Con lo sguardo, coi gesti, col movimento del corpo o semplicemente con il languore se non invece addirittura, loro sì, con la parola”.
“Con la parola?”.
“Sì, anche con la parola, come questa volta”.
“Come questa volta?!?”.
“Sì, lei mi ha guardato con occhi stralunati, ha avuto un sussulto e ha rantolato: prendimi!”.
“È disposto a giurarlo?”.
“È la verità”.
“Facciamo un passo indietro. Mi racconti come si è svolta la visita”.
“Come di consueto. Mi sono comportato con delicatezza, ho condotto un esame scrupoloso analizzando ogni particolare, ho effettuato una serie di esplorazioni”.
“Per esempio?”.
“Vuol sapere? L’indagine ginecologica richiede talvolta approfondimenti accurati, come nel caso della frigidità”.
“Si trattava di questo?”.
“No, ne parlavo a titolo di esempio, per dire che la ricerca e la sollecitazione delle zone erogene possono rientrare nei compiti specifici del medico che quindi ne conosce la tecnica. Ma anche fuori di questo caso il medico compie azioni implicitamente idonee a provocare il climax della paziente. L’inizio non è particolarmente significativo, poi tutto si svolge con il crescente rilassamento della donna e può proseguire con il suo piacere. Può concludersi, se si vuole, quando si vuole, con l’orgasmo. Può essere sufficiente, talvolta, un tocco sapiente, non necessariamente manuale, che sfiori lentamente la gamba percorrendola dal tallone all’inguine sino alla zona glutea. Quando la paziente non si appaga spontaneamente può accadere che la passione le faccia desiderare l’amplesso, disperatamente”.
“È accaduto cosi?”.
“Esattamente cosi”.
“Lei ha parlato di sintomi già noti. Quali sono?”.
“Il rossore, per cominciare, che in una donna non più giovanissima e già madre non è indizio di pudore ma di turbamento affiorante e si tramuta presto in pallore. E poi, brividi quasi impercettibili, l’alterazione del respiro, gli occhi che si chiudono per non tradirsi, le labbra serrate a trattenere ansiti, la vibrazione delle membra al primo schiudersi degli organi esterni. E poi ancora, a conferma, la densità e l’abbondanza della lubrificazione”.
“E stavolta lei ha rilevato tutto questo?”.
“Forse anche di più”.
Giorgia rifletté in silenzio, fissandolo. Gli chiese:
“È stata intenzionale la sua scelta di un difensore di sesso femminile?”.
“Lo ha capito? Certo che è stata intenzionale. Una donna può credermi più facilmente quando affermo che io non ho alcuna responsabilità per quanto è accaduto, tranne quella di essere stato consapevole strumento di un naturale processo fisiologico”.
Giorgia fu assalita da un’ostilità che dominò a stento osservando: “È incoerente quello che dice. Lei ha “voluto” essere strumento”.
“Si, ma con la complicità dell’altra parte. Ribadisco che non posso rispondere del suo drammatico pentimento”.
“Lei ha preordinato la complicità della donna, è questa la sua colpa. Ha abusato della sua vulnerabilità”.
“Crede?”.
“Ne sono convinta”.
“Pensa cioè che la donna si sarebbe repressa se avesse intuito cosa poteva accadere, che non sia stata invece proprio la consapevolezza ad eccitarla? Pensa che fosse indifesa nei miei confronti più che verso se stessa?”.
“Lo penso”.
“Non teme di potersi ricredere?”.
“Assolutamente”.
“Insomma, mi considera colpevole?”.
“Non di omicidio, non ne ero convinta neanche prima. Ma sicuramente lei ha istigato la donna a compiere un’azione che l’ha spinta al suicidio per l’immediato devastante rimorso d’aver tradito se stessa. Lei è colpevole”.
“Ma non si rende conto che quella donna ha semplicemente colto l’occasione, pentendosene repentinamente in modo assurdo, di risolvere l’eterno conflitto che è in ciascuno di noi, tra quel che siamo e quel che vorremmo essere?”.
“Non le manchi di riguardo anche ora! Lei è un amorale”.
“No, sono un uomo, e la laurea non mi è servita per cessare di esserlo. Credo invece che sia lei a dimenticare d’essere donna”.
Giorgia si lasciò andare ad una risata sarcastica. Ma subito si accigliò esclamando con durezza:
“Lei non ha ucciso ma ha sufficiente cinismo per non piacermi. E la sfrontatezza non l’aiuta”.
L’uomo si fece brusco:
“Mi ha chiesto di dire la verità per rivoltarla contro di me? Avrebbe preferito sentirmi dire che quella poveretta si è distesa, ha divaricato le gambe sulle staffe e mi ha chiesto subito di fare l’amore? Avrei potuto dirle questo e lei avrebbe potuto credermi, non è così?”.
Giorgia sospirò sforzandosi di riacquistare la calma.
“Non le avrei creduto, nessuno le avrebbe creduto. Ed è importante invece che lei appaia sincero”.
“Allora non rinunzia a difendermi?”.
Giorgia si alzò per avviarsi all’uscita.
“La difenderò dall’accusa di omicidio, credo di averne gli elementi. Lascio ad altri il giudizio morale e il conto che eventualmente vorranno farne”.
Avrebbe voluto fermarsi lì ma non ci riuscì e aggiunse come parlando a se stessa:
“Forse è giusto, dopotutto, che io faccia anche questa esperienza”.
“Cioè?”.
“Difendere un uomo che non è privo di colpa”.
“Si sbaglia sulla mia responsabilità” quasi ringhiò lui.
“Lei forse, col mio aiuto, convincerà i giudici. Ma si tolga dalla testa di convincere anche me, non ci riuscirà comunque finisca il processo”.
Si confrontarono con sguardo astioso, come più decisi all’antagonismo che non disposti ad intendersi per la causa comune.
* * *
“Sono incinta” disse Giorgia al marito che la guardò con espressione raggiante abbracciandola poi amorevolmente.
“Quando l’hai saputo?”.
“Stamane. Ne ho avuto conferma dal ginecologo”.
“Da chi sei andata?”.
“Oh, in questo momento me ne sfugge il nome. L’ho scelto sull’elenco telefonico”.
Il nome, invece, lo rammentava benissimo. Era quello dell’uomo che due anni prima ella aveva fatto assolvere dall’accusa di omicidio di una paziente. Non era più ginecologo, aveva corso il rischio d’essere radiato dall’albo dei medici, faceva il generico ma lei l’aveva rintracciato e gli aveva chiesto di accertare la propria gravidanza. Prima ancora di stendersi sul lettino aveva capito dal suo sguardo che neanche lui aveva dimenticato il brusco colloquio nel carcere e che accettava di rischiare ora sul campo la prova delle ragioni allora rifiutate da lei.
Quando era uscita dallo studio aveva la doppia certezza d’attendere un figlio e di aver fatto a suo tempo assolvere un uomo senza colpe se non quella, niente affatto sgradevole, di non negarsi all’altrui desiderio.
Si era arricchita di un’altra convinzione: nessuno può sperare di vincere una sfida se non è più che sicuro di non trovare in se stesso l’insospettato alleato dell’avversario.