il Libro

parte seconda - capitolo cinquantatreesimo

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«Aspettami, scendo con te.» Il padre lo attese e Federico si affrettò a raggiungerlo.
Cercava di essergli vicino ogni volta che ne aveva l'occasione. Entrambi avevano evitato di riprendere l'argomento scabroso di Genoveffa, ma il figlio aveva seguito con ansia i comportamenti dell'altro e, notando come il suo umore andasse lentamente ma decisamente migliorando, si era rasserenato. Gli sembrava evidente che il padre era uscito dalla crisi, e ne era felice anche se la relazione con la "contadina" ne aveva guadagnato in spregiudicatezza ed era divenuta quasi di pubblico dominio aggravando i risentimenti di Luigia.
«Non ha più alcun pudore» si lamentava ormai abitualmente la donna. «Tutto il paese parla di questo vecchio che mantiene quella donnaccia tanto più giovane di lui con la compiacenza del marito che ci mangia sopra.»
Federico si barcamenava. Restava dell'avviso che Girolamo avrebbe dovuto essere più prudente ma gli riconosceva il diritto di vivere come la sua natura comandava. Egli sapeva ormai molto bene, per personale esperienza, che l'essere umano non può ribellarsi al programma insito nei suoi geni.
Il giovane voleva anche perdonare a se stesso di avere rifiutato l'aiuto chiestogli dal padre, che aveva finito con l'assolvere dicendosi che un genitore può ben confidare, se non pretendere, che i figli siano disposti a ricambiare, in età adulta, i comportamenti protettivi. Aveva rinunziato a tormentarsi per quella che comunque continuava a considerare una sorprendente caduta morale dell'uomo.
Scesero le scale fianco a fianco.
«Stai andando al circolo?» chiese Federico.
«Sì, come al solito.»
«Hai fortuna con le carte, di questi tempi?»
«Poca, come al solito.» Lo disse senza sorridere. Girolamo Cerioni aveva con le carte una natura perdente e lo ammetteva con il risentimento di chi si sente in credito verso il demone del gioco.
«Io sto andando al cinema. Posso raggiungerti dopo, se vuoi, per tornare a casa insieme.»
«Va bene, d'accordo.» Da qualche tempo avevano preso l'abitudine di farsi compagnia in una cena frugale a ora molto tarda, approfittando del silenzio notturno per rinsaldare la vecchia intimità con pacate conversazioni.
Poco oltre il portone Federico scorse la sorella al capolinea filoviario, in compagnia di una ragazza bruna, alta quasi quanto lei, accanto a una vettura in partenza per Salerno.
Quando essi si avvicinarono fece la presentazione:
«Luciana Megara, una mia compagna di scuola. È di Salerno e ho voluto farle fare una passeggiata a Cava. Stiamo aspettando che parta il filobus che la riporti a casa.»
Aveva due occhi nerissimi e un sorriso seducente.
(...)